Sessant’anni fa veniva presentata a New York la Perottina di Olivetti

Perottina era poi il soprannome derivante dal suo ideatore, in realtà si chiamava Programma 101 ed era la cosa che più si avvicinava ad un computer moderno

Sessant’anni fa, il 15 ottobre 1965, alla Fiera Mondiale di New York, la Olivetti presentò la Programma 101, nota anche come Perottina, dal nome del suo ideatore Pier Giorgio Perotto. Fu il primo calcolatore da tavolo al mondo con un programma memorizzabile, e per molti rappresenta il vero antesignano del personal computer. L’obiettivo era realizzare una macchina semplice da utilizzare ma con una notevole potenza di calcolo, rendendo l’elaborazione dei dati accessibile anche a chi non aveva competenze informatiche.

L’idea nacque in un momento in cui i computer erano ancora grandi macchinari gestiti da tecnici specializzati. Perotto, ingegnere torinese laureato al Politecnico e assunto in Olivetti nel 1957, voleva ribaltare quel paradigma: portare l’informatica fuori dai laboratori e dentro gli uffici, sulle scrivanie. Il progetto prese forma nel 1962, quando Perotto e un piccolo gruppo di collaboratori – tra cui Giovanni De Sandre e Gastone Garziera – iniziarono a lavorare a Ivrea su un calcolatore “a misura d’uomo”.

La macchina, grande quanto una macchina da scrivere, poteva eseguire operazioni aritmetiche complesse e memorizzare programmi grazie a una “cartolina magnetica”, una sorta di antenato del floppy disk. Ogni scheda poteva contenere un set di istruzioni, modificabile e riutilizzabile, che rendeva la Programma 101 uno strumento estremamente versatile per l’epoca. Il sistema eliminava la necessità di server centrali o operatori dedicati, aprendo la strada a un uso personale e indipendente dell’elaborazione dei dati.

Pier Giorgio Perotto (seduto a sinistra, in primo piano), con il team della P101: De Sandre (seduto a destra), Garziera (in piedi a sinistra) e Elia Perotto (in piedi a destra) | via Wikipedia

Quando venne lanciata sul mercato nel 1965, la Perottina fu definita da Olivetti “computer da tavolo” e proposta a un prezzo di circa 3.200 dollari. Ne furono venduti oltre 44mila esemplari, per la maggior parte negli Stati Uniti, dove il dispositivo fu utilizzato anche dalla NASA per i calcoli delle missioni Apollo. Era una delle prime volte che un prodotto tecnologico italiano otteneva un successo così ampio a livello internazionale, pur restando poco conosciuto nel Paese d’origine.

Un aspetto distintivo della Programma 101 era il design, affidato al giovane architetto Mario Bellini, che Perotto scelse al posto di designer già affermati come Ettore Sottsass o Marco Zanuso. Bellini progettò un dispositivo compatto, minimale e funzionale, coerente con la filosofia di Olivetti di unire estetica e innovazione. Il design della Perottina influenzò molti designer internazionali e fu citato da Steve Jobs tra le ispirazioni che avevano guidato l’approccio estetico dei primi prodotti Apple.

La presentazione a New York ebbe anche un valore simbolico per Olivetti, che in quegli anni cercava di affermarsi come azienda tecnologica oltre che meccanica. La multinazionale di Ivrea, fondata da Camillo Olivetti e poi guidata dal figlio Adriano, era conosciuta per le sue macchine da scrivere e per la particolare attenzione al rapporto tra impresa, architettura e società. Con la Programma 101, quell’idea si estendeva al mondo elettronico: un prodotto tecnologico pensato per migliorare la vita delle persone, non per sostituirle.

Nel linguaggio dell’epoca, l’EES – “Electronic Entry System” – della Olivetti rappresentava un passo verso una nuova forma di “umanesimo tecnologico”, come lo definiva lo stesso Perotto. L’innovazione non era solo tecnica, ma anche culturale: l’informatica diventava accessibile e personale, anticipando concetti che sarebbero poi diventati centrali nel mondo dei computer domestici.

Oggi la Programma 101 è conservata in musei come il Museo Tecnologic@mente di Ivrea e il Museum of Modern Art di New York. Rimane un simbolo di un momento in cui l’Italia si trovò, anche se per un breve periodo, al centro della rivoluzione informatica mondiale, e di come un gruppo di ingegneri di Ivrea riuscì a immaginare il futuro del calcolo partendo da un’idea semplice: mettere l’uomo al centro della macchina.

Immagine di Cecilia Gaudenzi

Cecilia Gaudenzi

Giornalista professionista e storyteller. È nata a Roma nel 1991 “sotto il segno dei pesci”, dove si è laureata con lode in Scienze Politiche, all’Università di Roma Tre e dove vive stabilmente. Musica, cinema, letteratura, politica, serie tv, podcast, reportage e terzo settore. Il vizio di scrivere, di tutto e su tutto ce l’ha fin da bambina. Le piace conoscere, capire, raccontare e soprattutto, fare domande. Crede nello scambio di idee e nella contaminazione. Ha girato l'Africa per dare voce all'impegno di donne e uomini che dedicano la loro vita agli altri. La sua parola preferita è resilienza.

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