La libertà. È questo il tema centrale di Primavera, il primo film di Damiano Michieletto, liberamente tratto dal romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa (Premio Strega 2009) presentato ieri a Roma. L’opera, che arriverà nelle sale italiane il 25 dicembre 2025, porta al cinema il talento di un regista che ha rivoluzionato la regia operistica internazionale e di un cast eccezionale: Tecla Insolia e Michele Riondino, Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, con la partecipazione di Valentina Bellé e di Stefano Accorsi.
Siamo nei primi del Settecento. L’Ospedale della Pietà è il più grande orfanotrofio di Venezia, ma è anche un’istituzione che avvia le orfane più brillanti allo studio della musica. La sua orchestra è una delle più apprezzate al mondo. Cecilia ha vent’anni, vive da sempre alla Pietà ed è una straordinaria violinista. L’arte ha dischiuso la sua mente ma non le porte dell’orfanotrofio; può esibirsi solo lì dentro, dietro una grata, per ricchi mecenati. Questo fino a che un vento di primavera scuote improvvisamente la sua vita. Tutto cambia con l’arrivo del nuovo insegnante di violino. Il suo nome è Antonio Vivaldi.
Dopo l’anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e i riconoscimenti ottenuti a Chicago e Tolosa, Primavera è uno dei titoli italiani più attesi della stagione, forte anche di una produzione di respiro europeo, Warner Bros. Entertainment Italia, Indigo Film, in coproduzione con Moana Films.
La presentazione è stata l’occasione per ascoltare la voce del suo regista, Damiano Michieletto, che ha raccontato un percorso di totale scoperta: «Vado molto a intuito sulla creatività e così è stato anche per questo film. Ho sempre vissuto il cinema da spettatore, misurare la mia esperienza teatrale con un nuovo linguaggio è stato sorprendente. Avevo bisogno di uscire dalla mia zona sicura, di imparare. È stata un’esperienza stupenda, sul set c’era un’energia bellissima», ha spiegato Michieletto.

Il regista tratteggia subito il cuore emotivo del film: la libertà negata, soprattutto per chi, come Cecilia, orfana, che «è invisibile, non ha nemmeno un nome». La sua storia è un percorso di risveglio: «La scena finale rappresenta la sua primavera interiore: il germoglio che vuole emergere, la rabbia e il desiderio di non arrendersi». E per un artista nato nel teatro musicale, il suono non poteva che essere protagonista: «Tutto ciò che appartiene al mondo sonoro è emotivo. La musica nel film serve a toccare l’emotività del pubblico. Ma l’arte non redime: emoziona, ma non salva».
Ancora sul lavoro con gli interpreti, Michieletto racconta un metodo “a sponde aperte”: «Do indicazioni precise ma non soffocanti. Metto dei binari, ma il percorso lo traccia l’attore: con la sua fisicità, il suo vissuto. L’acqua deve scorrere». E guarda già avanti ha detto: «Non vedo l’ora di fare un nuovo film, qualcosa di più ruvido. Primavera nasceva dal desiderio di lavorare con elementi che conosco – Venezia, la musica – ma ora voglio sorprendere».
La sceneggiatrice Ludovica Rampoldi ha sottolineato la difficoltà e la ricchezza di tradurre l’intensa voce del romanzo: «Il libro è un flusso di coscienza epistolare, difficilissimo da trasformare in sceneggiatura. Da quelle pagine usciva una musica viva, inquieta ed era proprio quello che volevamo raccontare: le ragazze che sembrano come sedate da rituali identici, per le quali persino la musica diventa una gabbia… fino all’arrivo del nuovo maestro». Rampoldi definisce Primavera come la storia di due prigionie: «Sia Cecilia che Vivaldi sono prigionieri. Lei per la sua condizione di orfana, lui per la sua malattia, il suo essere prete. La loro relazione permette di sperimentare un piccolo spazio di libertà: l’arte semina qualcosa che ti spinge a prendere in mano la tua vita. Cecilia perde tutto, forse per trovare qualcosa di più grande».
Il pubblico ha ascoltato con emozione il racconto di Tecla Insolia, premiata a Tolosa per la sua interpretazione: «Quello tra Cecilia e Vivaldi è un incontro di anime, fra due artisti, due persone che nella loro vita hanno avuto il privilegio di imparare ad esprimersi tramite la musica. Non parliamo di un’intesa amorosa, ma di un rapporto complesso fra allieva e maestro. Cecilia è un personaggio molto introspettivo: scrive lettere alla madre che non conoscerà mai, ed è stata la sua sofferenza a guidarmi nella costruzione del personaggio».
L’attrice ricorda il secondo provino – il primo lo aveva fatto per interpretare un altro personaggio, quello di Maddalena – come rivelazione del metodo del regista: «Nella scena c’era uno scontro musicale tra Vivaldi e Cecilia. Damiano mi ha fatta girare, ballare ed è stato lì che ho capito la sua immaginazione, la creatività con cui trattare il personaggio e tutta la storia. È stata una direzione di libertà». E sul violino, strumento mai suonato prima: «Innaturale per il corpo, ma di grande eleganza. È diventato la mia chiave per interpretare la ribellione di Cecilia e il percorso imprevedibile che la porta all’emancipazione».
Per Michele Riondino, l’incontro tra i due protagonisti è prima di tutto un incontro tra solitudini: «Vivaldi e Cecilia sono due personaggi che cercano emancipazione. Non c’è sentimento nel senso romantico: sono due solitudini che, incontrandosi, generano materia artistica. Vivaldi ha bisogno della Pietà per sopravvivere, e di Cecilia per tradurre in suono ciò che ha solo nella mente». Ha detto l’attore che ha poi raccontato come il set di Michieletto sia diventato un luogo di ascolto e sperimentazione: «Molte scene sono nate in un modo e poi girate in un altro. Damiano ci ha dato spazi ampi, e questa distanza dalla troupe creava una solitudine preziosa: permetteva intensità, intimità, improvvisazione».

Riondino ha scelto un Vivaldi antiretorico: «Non volevo interpretarlo come un musicista pieno di sé. È un uomo molto solo, chiuso nella sua stanza per tutta la vita, la cui grandezza è stata scoperta dopo la morte, non sarebbe stato giusto riempirlo di enfasi».
La produttrice Francesca Cima ha evidenziato la forte vocazione europea del film: «Primavera è stato molto visto all’estero fin dall’inizio. La coproduzione francese e il sostegno di Warner indicano che la nostra storia, la nostra musica e Venezia parlano anche a un pubblico globale. Speriamo che anche a Natale gli spettatori italiani possano sentirla vicina: è una storia di speranza, passione e musica».
Il compositore Fabio Massimo Capogrosso, autore delle musiche originali, racconta una sintonia immediata con il regista: «L’istinto guida sempre il mio lavoro e su questo, con Michieletto, ci siamo trovati subito. La musica ha il potere di donare libertà e scavare nella psicologia dei personaggi».
Primavera si prepara dunque a incontrare il pubblico italiano come un’opera di grande sensibilità visiva e musicale: un film che parla di gabbie e di fughe, di crescita e di desiderio, di arte che non redime ma rivela.
Il suo arrivo nelle sale il 25 dicembre assume quasi un valore simbolico: un Natale che porta con sé non una storia consolatoria, ma un racconto di rinascita, fragile e potentissimo. Cecilia corre, fugge, sceglie: e in quella scelta, forse, c’è la sua vera primavera.




