Quando ha deciso di debuttare come regista, Debora Scalzo sapeva esattamente quale storia raccontare. La sua prima regia è Paolo Vive, un docufilm che affonda le radici nella sua terra e nella sua memoria familiare. «Sono cresciuta con questa storia dentro casa», racconta. Suo nonno Lorenzo era un poliziotto di scorta che ha lavorato accanto a diversi giudici antimafia, tra cui Cesare Terranova, e ha conosciuto Paolo Borsellino. «La mia tesina delle superiori era dedicata a lui», dice. «Poi l’ho chiusa in un cassetto, senza immaginare che un giorno sarei diventata una regista». Dopo diciassette anni di lavoro in banca, la vita di Debora cambia radicalmente: si avvicina alla scrittura, poi al cinema, prima come sceneggiatrice, poi come produttrice. Con Paolo Vive firma il suo esordio da regista.
Il progetto prende forma nel 2020. Debora scrive le prime bozze della sceneggiatura, incluso il monologo iniziale interpretato da Bruno Torrisi. Tra il 2021 e il 2022 inizia a raccogliere le testimonianze. È il dottor Manfredi Borsellino, figlio del magistrato e dirigente della Polizia di Stato, a credere per primo nel progetto. «Nel 2023 abbiamo iniziato a girare e l’anno dopo siamo arrivati al cinema», racconta. «All’inizio era pensato per la distribuzione sulle piattaforme streaming e per le emittenti televisive italiane e straniere. Ma la Film Commission è rimasta molto colpita dal lavoro». Paolo Vive si distingue dagli altri docufilm: alterna scene di finzione, testimonianze dirette e immagini inedite fornite dalle famiglie. «Quando ho chiesto alle principali testate italiane il video della strage, mi hanno chiesto di tagliare alcune interviste. Non ho accettato. Quel video lo conosciamo tutti. Io volevo raccontare il dopo: la solitudine, il dolore che non si vede in televisione».
Sorprendentemente, il primo riconoscimento arriva dagli Stati Uniti. La rivista Hollywood Magazine lo definisce «un potente tributo al giudice Paolo Borsellino» e la risonanza cresce rapidamente anche oltreoceano. «In America vedono Borsellino come un eroe, una figura di ispirazione per i giovani», spiega Scalzo. «Mentre in Italia il suo nome è ancora legato a una ferita aperta, in America rappresenta un esempio di coraggio e integrità. Ed è questo che il docufilm vuole raccontare». Il tour internazionale di Paolo Vive toccherà diverse città degli Stati Uniti e del Canada. A Montreal si terrà una proiezione organizzata insieme al Comites e all’associazione dei giuristi italo-canadesi. «In Italia, purtroppo, non abbiamo ancora avuto un evento simile con i giuristi italiani», aggiunge.
La reazione che l’ha colpita di più arriva dai ragazzi. «I giovani mi dicono che, nonostante il film duri due ore e mezza, lo riguarderebbero ancora». Molti sottolineano la sensibilità con cui è stato raccontato: «Mi dicono che si vede che è stato girato da una donna, e per me è una soddisfazione immensa, perché spesso il racconto dell’antimafia ha uno sguardo maschile». Eppure, non sono mancati i momenti amari. Durante l’anteprima di Palermo c’era la famiglia Borsellino, i sopravvissuti alla strage e tanti giovani. «Ma le istituzioni erano assenti», dice. «Avevano tutti un impegno quella mattina». La regista si dà una spiegazione: «Paolo vive. E dà fastidio. Pensavano che uccidendolo avrebbero cancellato i suoi ideali, invece lui vive ancora. E noi continueremo a portare avanti la sua memoria».
Oggi Debora Scalzo è al lavoro su diversi progetti. Il 7 aprile uscirà in Italia Il senso della vita, distribuito dalla sua Underground Distribution. Il film, già premiato in Canada, racconta la storia di una bambina malata di leucemia e di un clown terapeuta. A novembre tornerà invece sul set con Oltre la Divisa, il suo secondo film da regista. «Racconteremo cinque storie intrecciate, uomini e donne oltre la divisa», spiega. Il film sarà ambientato tra Catania, Lugano e San Paolo, e uscirà anche negli Stati Uniti con il titolo Beyond the Uniform. «Affronteremo temi come la corruzione, l’abuso di potere, ma anche storie di riscatto. Sempre con uno spiraglio di speranza».
Il filo conduttore resta quello delle forze dell’ordine e della legalità. «Ho un grande potere: la penna e la cinepresa», dice. «Posso raccontare storie vere, anche difficili, ma sempre con un finale di giustizia. Anche se spesso non è così nella realtà, io ci voglio credere». Scalzo ha già firmato il suo terzo film, previsto per il 2026. Racconterà i fatti del G8 di Genova e della caserma di Bolzaneto, una delle pagine più drammatiche della storia italiana recente. «Alla regia ci sarà una donna, e questo ha già spiazzato qualcuno. Ma io ci metto la faccia. Perché i giovani devono sapere e avere sempre un filo di speranza».