La sentenza che ferma Alligator Alcatraz

La giudice federale Kathleen Williams ha stabilito che il centro di detenzione nelle Everglades deve chiudere, accogliendo il ricorso di ambientalisti e della comunità Miccosukee per i rischi ambientali legati alla sua costruzione

Beds are seen inside a migrant detention center, dubbed "Alligator Alcatraz," located at the site of the Dade-Collier Training and Transition Airport, as US President Donald Trump tours the facility in Ochopee, Florida on July 1, 2025. President Trump is visiting a migrant detention center in a reptile-infested Florida swamp dubbed "Alligator Alcatraz." Trump will attend the opening of the 5,000-bed facility -- located at an abandoned airfield in the Everglades wetlands -- part of his expansion of deportations of undocumented migrants, his spokeswoman said. (Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS / AFP) (Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS/AFP via Getty Images)

Alligator Alcatraz, la prigione improvvisata sorta nelle Everglades, dovrà chiudere entro sessanta giorni. Lo ha stabilito la giudice federale Kathleen Williams, bloccando di fatto l’ampliamento del centro già fermato in agosto e ordinando lo smantellamento delle strutture. Nessun nuovo detenuto potrà esservi trasferito, mentre chi è già recluso dovrà essere spostato «in sicurezza, trattato in modo umano e responsabile». Nelle motivazioni la giudice non ha fatto riferimento diretto alle condizioni durissime denunciate da attivisti e avvocati, ma alla costruzione stessa della prigione, giudicata in violazione delle norme ambientali.

A innescare la causa non erano stati infatti i difensori dei migranti detenuti, bensì un’alleanza fra ambientalisti e il consiglio tribale dei Miccosukee, comunità nativa che abita e amministra parte delle Everglades. Secondo i ricorrenti, il centro era stato realizzato in fretta e senza valutazioni di impatto ambientale, spinto più da motivi politici che da esigenze reali. L’area delle Everglades è un ecosistema fragile e unico: il rischio, sostenevano, era quello di comprometterne l’equilibrio e di danneggiare la vita dei nativi che da secoli vi vivono.

Williams ha accolto questi argomenti, sottolineando che l’espansione del sito sconfinava anche su territorio tribale. Nelle carte si legge che l’illuminazione artificiale della struttura e la cementificazione avrebbero potuto minacciare specie protette come la pantera della Florida, già ridotta a poche centinaia di esemplari, e interferire con l’habitat degli alligatori e del raro pipistrello della Florida. La sentenza, in questo senso, ha spostato il dibattito dal terreno dei diritti umani a quello della tutela ambientale, offrendo così una sponda a chi si opponeva al centro.

Eve Samples, direttrice degli Amici delle Everglades, ha parlato di «un messaggio chiaro» rivolto al governo sul rispetto delle leggi ambientali. Duro anche l’intervento di Talbert Cypress, presidente del consiglio Miccosukee, che ha rivendicato la difesa della cultura e della terra della sua comunità come un dovere non negoziabile.

L’amministrazione della Florida ha però reagito opponendosi alla decisione. Il portavoce del governatore Ron DeSantis ha annunciato il ricorso, accusando la giudice di aver travalicato i propri poteri. Secondo i funzionari statali, la gestione di Alligator Alcatraz ricadrebbe esclusivamente sulla Florida e non sulle autorità federali. Ma Williams ha respinto l’argomento, ricordando che la prigione era stata progettata secondo gli standard dell’agenzia federale Ice: «Se cammina come un’anatra, fa il verso dell’anatra e sembra un’anatra, allora è un’anatra», ha dichiarato la giudice. Nel frattempo, la stessa Florida ha già avviato lo sgombero: dei circa 1.400 detenuti presenti fino a poche settimane fa, oltre mille sono stati trasferiti in un’altra struttura nel nord dello Stato.

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