Anche la New York University non se la passa benissimo con le proteste studentesche

Non si placano le proteste pro-palestinesi nei campus universitari. Seguendo l’esempio della Columbia University, anche la New York University ha minacciato provvedimenti disciplinari verso gli studenti che avrebbero continuato a protestare negli accampamenti eretti nel campus dell’università. Domenica sera, i funzionari dell’università hanno infatti lanciato l’ultimatum, chiedendo di terminare le esperienze di protesta protratte fino a notte “senza conseguenze”, o continuare a presidiare il campus anche di notte ed affrontarne le conseguenze.

Il lunedì pomeriggio, gli studenti sono comunque rimasti sul posto a protestare anche la notte. Le tende erano già state rimosse il venerdì precedente, come richiesto dalla stessa università, ma i gruppi di protesta hanno comunque deciso di rimanere nell’accampamento senza soluzione di continuità. Tuttavia, i funzionari dell’università non hanno risposto subito alla richiesta di dettagli su cosa comporterebbero tali procedimenti disciplinari. Allo stesso tempo, un portavoce degli studenti in protesta ha accusato i funzionari e la Presidente della New York University, Linda Mills, di parlare pubblicamente di “trattative” con i manifestanti quando, invece, gli stessi hanno subito solo minacce di sgomberi, invii della polizia e sanzioni disciplinari. Ha anche aggiunto che sarebbe stato un onore ricevere misure disciplinari per aver espresso la propria solidarietà ai palestinesi.

Nel frattempo, circa 600 tra genitori e tutori degli studenti hanno firmato una lettera criticando la Presidente Linda Mills per aver richiesto l’intervento della polizia nel tentativo di sgomberare il presidio. In quell’occasione, decine di manifestanti sono stati arrestati. Nella lettera, pubblicata lunedì sul Washington Square News, il giornale studentesco indipendente dell’Università, i firmatari hanno chiesto le dimissioni della MIlls, sostenendo non sia in grado di proteggere i diritti degli studenti garantiti dal Primo Emendamento e di non saper distinguere tra protesta legittima ed attività criminale.

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