A inizio anni Duemila, quando si iniziò a parlare con più insistenza di sostenibilità ambientale e recupero dei rifiuti, New York decise di depositare sul fondo dell’Oceano Atlantico migliaia di vagoni della metropolitana ormai in disuso. Detta così può sembrare una sorta di operazione in controtendenza, ma in realtà si trattava di un progetto scientifico mirato, voluto dall’autorità dei trasporti locale, la Metropolitan Transportation Authority (MTA), con l’obiettivo di creare nuove barriere artificiali che potessero stimolare la crescita della vita marina lungo le coste orientali degli Stati Uniti.
Il programma, denominato ufficialmente «MTA Artificial Reefing Program», partì nel 2001 e in poco meno di dieci anni trasformò circa 2.500 vagoni destinati alla rottamazione in strutture sommerse. Un numero notevole, se si considera che ciascun vagone pesa decine di tonnellate. L’operazione prevedeva un’accurata pulizia preventiva: tutto ciò che poteva rappresentare un rischio ambientale, come vernici tossiche, componenti in plastica, vetri e sedili imbottiti, veniva rimosso prima che le carcasse metalliche fossero adagiate sui fondali marini, a profondità strategiche individuate da studi scientifici.
La scelta delle location non era casuale: le aree prescelte, dal New Jersey fino alle coste della Georgia, erano caratterizzate da fondali prevalentemente sabbiosi e poco ospitali per molte specie marine. In queste condizioni, la vita fatica ad attecchire e proliferare; strutture solide, invece, come quelle create dai vagoni sommersi, funzionano da rifugio e punto di ancoraggio per coralli, spugne e alghe, organismi fondamentali per generare ambienti marini ricchi e diversificati. Secondo i biologi marini, una barriera artificiale di questo tipo arriva a moltiplicare di centinaia di volte la quantità di biomassa marina rispetto ai fondali sabbiosi.

Non è la prima volta che oggetti prodotti dall’uomo vengono riciclati in mare per incentivare la biodiversità: già nel corso del Novecento, relitti di navi, vecchie piattaforme petrolifere e persino mezzi militari in disuso erano stati impiegati a tale scopo. Ad esempio, lungo le coste della Florida e nel Golfo del Messico, numerosi aerei dismessi sono stati affondati negli ultimi decenni per formare barriere artificiali. Ma l’operazione di New York rappresentò una delle più ampie e sistematiche mai intraprese da una città, soprattutto considerando che l’oggetto del recupero proveniva direttamente dalla vita quotidiana di milioni di pendolari.
Il beneficio ambientale non fu l’unico risultato tangibile di questa iniziativa. Gli abitanti delle località costiere videro crescere il turismo legato alle immersioni subacquee, con gruppi di sub attirati dall’idea di esplorare un ambiente insolito popolato da pesci e organismi colorati. Il programma, inoltre, contribuì a migliorare l’attività economica della pesca, incrementando sensibilmente il numero di specie presenti nelle zone interessate. Anche sotto il profilo della sicurezza, le autorità marittime condussero studi dettagliati per accertare che i vagoni non rappresentassero rischi per l’ecosistema, confermando risultati positivi e durevoli.
La durata stessa delle strutture sottomarine, resistenti alla corrosione, ha permesso che i vagoni diventassero stabilmente parte del paesaggio subacqueo, contribuendo così anche alla protezione fisica delle coste. La presenza di barriere solide come queste ha un ruolo importante nel ridurre il movimento dei sedimenti sul fondo marino, limitando così il fenomeno dell’erosione costiera, una problematica sempre più critica per molte aree densamente popolate degli Stati Uniti.