E se ti dicessimo che c’è un po’ di Italia anche nell’albero del Rockefeller Center?

È una storia che torna indietro fino al 1931, quando tra gli operai dai quali nacque la tradizione c'era anche Cesidio Perruzza...

Ogni anno, l’albero di Natale del Rockefeller Center fa innamorare milioni di persone, ma pochi conoscono la sua storia. Chi lo guarda oggi, scintillante e maestoso, potrebbe pensare che sia sempre stato sinonimo di glamour. E invece no: tutto è cominciato nel 1931, in piena Grande Depressione, quando un gruppo di operai decise di decorare un semplice abete per rendere meno grigie le giornate. Niente luci sfavillanti, solo qualche filo di carta e decorazioni fatte a mano. Insomma, il primo albero del Rockefeller era un po’ arrangiato, ma già pieno di spirito natalizio. Ed un cuore italiano che pochi conoscono.

A quel tempo, infatti, tra gli operai che lavoravano nei cantieri del Rockefeller Center vi era anche Cesidio Perruzza. Arrivato in America a soli 17 anni da un piccolo paesino del Lazio, San Donato Val di Comino, Cesidio era uno dei tanti italiani che cercavano fortuna oltre oceano. Dopo anni di lavori duri e pericolosi, si era specializzato nell’uso degli esplosivi per spianare i terreni, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Joe Blaster”.

Nel 1931, mentre i lavori nel cantiere procedevano a ritmo serrato, il periodo economico aveva lasciato molti dei lavoratori in condizioni di estrema difficoltà quando non di povertà assoluta. È in questo contesto che Cesidio ebbe l’idea di decorare un abete sul cantiere per portare un po’ di speranza e allegria ai suoi colleghi.

L’albero, alto poco più di sei metri, fu addobbato con materiali poveri ma carichi di significato: ghirlande fatte a mano, bacche rosse e persino l’alluminio recuperato dai detonatori usati per scavare le fondamenta.

Quell’albero non era solo un simbolo di Natale, ma un tributo al lavoro e alla dignità degli operai, molti dei quali, come Cesidio, erano emigranti italiani. Il gesto attirò l’attenzione dei media dell’epoca e, due anni dopo, nel 1933, il Rockefeller Center decise di istituzionalizzare la tradizione, accendendo il primo albero ufficiale con luci elettriche.

Da lì in poi, l’albero divenne un appuntamento fisso, una tradizione che cresce ogni anno di più. Oggi, la cerimonia di accensione è uno show in grande stile, con artisti famosi, dirette TV e uno stuolo di newyorkesi (e non) che si stringono intorno per godersi la magia.

La scelta dell’albero, però, non è una passeggiata. Deve essere un abete rosso perfetto, alto almeno 20 metri e possibilmente con un profilo da star di Hollywood. Il capo giardiniere del Rockefeller Center si muove come un talent scout, sorvolando il nord-est degli Stati Uniti per trovare il candidato ideale. Quando l’albero viene scelto, il suo viaggio verso New York diventa un evento.

E poi ci sono le decorazioni, il vero colpo di scena. Migliaia di luci LED, chilometri di cavi e, in cima, la celebre stella Swarovski, un capolavoro che brilla come il sogno americano. È talmente spettacolare che quasi ti fa dimenticare quanto è freddo stare lì sotto a guardarlo. Ma per un momento così, ne vale la pena.

Ma tornando alle origini italiane, fu solo nel 1999 che l’ex governatore dello Stato di New York, Mario Cuomo, riportò alla luce questa straordinaria storia, donando una fotografia del Natale del 1931 alla famiglia di Cesidio Perruzza. L’immagine ritrae gli operai italiani in fila per ricevere la paga settimanale, con l’albero sullo sfondo. Tra loro si riconoscono, oltre a Cesidio, suo fratello Loreto e altri lavoratori originari del Lazio, dell’Irpinia e della Sicilia. Sul retro della fotografia, Cuomo scrisse: “New York ringrazia la gente di San Donato Val di Comino”.

Oggi, la storia di Cesidio e del primo albero di Natale al Rockefeller Center è raccontata in due musei: il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana a Genova e il Museo del Novecento e della Shoah di San Donato Val di Comino. Esiste anche una clip, intitolata 1931: brillano le luci a Manhattan, realizzata da Paolo Masini e Luca Leone, che narra questa favola operaia con immagini e materiali inediti.

Il racconto, arricchito dalla voce di Massimo Wertmuller e dal testo di Maria Grazia Lancellotti, ricorda come un gesto semplice, nato dalla volontà di celebrare la fatica e l’orgoglio di una comunità, abbia dato vita a una delle tradizioni più iconiche al mondo.

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