Nel cuore di Brooklyn, dove una volta sorgeva l’iconico Ebbets Field, il passato si mescola al presente in un angolo di asfalto quasi dimenticato. Gli Ebbets Field Apartments si ergono lì dal 1962, occupando il posto lasciato dallo storico stadio dei Brooklyn Dodgers, trasferitisi a Los Angeles nel 1958. Non c’è nulla di appariscente, solo una piccola targa, incastonata nel parcheggio, che ricorda quel 15 aprile del 1947 in cui Jackie Robinson entrò in campo, primo giocatore afroamericano nella Major League.
Jackie Robinson non è solo un’icona del baseball, ma un simbolo di cambiamento e coraggio, capace di ridefinire l’identità dello sport e della società americana stessa. Quando debuttò con i Brooklyn Dodgers nel 1947, Robinson sfidò non solo l’abilità degli avversari sul campo, ma anche il peso delle barriere razziali di un’epoca ostile. La sua resistenza al razzismo, la sua integrità e il suo straordinario talento conquistarono il rispetto di fan, compagni e anche di chi inizialmente lo criticava.
Ma il suo impatto andava oltre le statistiche: fu un pioniere che aprì le porte ai futuri atleti afroamericani, spianando la strada alla desegregazione anche fuori dal diamante. La sua eredità si manifesta oggi nel numero 42, ritirato da tutte le squadre della Major League, che celebra ogni anno il Jackie Robinson Day per onorare questo eroe che portò il baseball e l’America un passo avanti verso l’uguaglianza. E oggi c’è anche una targa a ricordarlo.
Ezra Askotzky, il responsabile della manutenzione di questi appartamenti, è diventato, quasi per caso, una sorta di custode di questo simbolo di Brooklyn. Ogni settimana accoglie curiosi e nostalgici, molti in cerca della famosa targa nascosta. Spesso, lui o il suo staff si armano di una delle mazze di legno trovate in un vecchio appartamento, pronte per essere usate come oggetti di scena per le foto dei visitatori. “Per noi non è un grosso sforzo,” racconta Askotzky, “ma vedere i sorrisi dei visitatori rende tutto gratificante.”
Eppure, per quanto amato dai fedeli, questo piccolo santuario è difficile da trovare. Chi arriva da lontano si perde facilmente in quel parcheggio caotico, tra le occhiate indifferenti di chi ci passa senza badarci. La discrezione della targa, quasi inosservabile senza un’attenta ricerca, ha generato reazioni contrastanti tra i visitatori, con chi si dice un po’ deluso dalla mancanza di un vero e proprio santuario dedicato.
Tra i residenti, comunque, c’è anche chi riconosce l’importanza storica del luogo ma nota che i cambiamenti demografici hanno attenuato l’interesse per questo simbolo di Brooklyn. Le nuove generazioni capiscono sempre l’importanza di camminare dove camminavano le leggende. Eppure, quel parcheggio resta un luogo testimone di un’epoca e di una lotta per l’integrazione.
In attesa di una partita importante delle World Series, Askotzky e il suo team di manutenzione si ritrovano quasi come guide turistiche, impegnati a conservare la memoria di un luogo che per alcuni è ancora un pellegrinaggio.