Stefano Mhanna violinista e pianista italiano
Stefano Mhanna stringe la mano al Papa

Stefano Mhanna, nuovo Mozart da valorizzare all’estero

La parola “talento” non è una citazione biblica. Quando Stefano Mhanna aveva nove anni, il grande violinista Uto Ughi, dopo averlo ascoltato suonare al teatro Argentina di Roma, dichiarò al Tg1: “È davvero nato per suonare, è un talento unico”.

Vi descriverò una storia singolare, in un mondo in cui, come si dice un poco banalmente, si è perso lo stampo del talento e del genio. Certo, c’è Bill Gates, ma vuoi mettere Einstein o Da Vinci?

Un anno e mezzo fa mi chiama un amico: “Vieni al bar Cutter, c’è una persona che ti vorrei presentare. È un piccolo Mozart. Pensa che si è messo a suonare l’organo nella chiesa di Santa Maria di Nazareth. Era deserta, dopo cinque minuti si è riempita di gente.”

Vado al bar che – come suggerisce il nome – si trova in riva al mare di Sestri Levante. Trovo il “mozartino” (siamo tutti supponenti, quando conosciamo una persona nuova, e tendiamo a liquidare i migliori e a glorificare i peggiori, come i russi con Stalin o i tedeschi con Hitler). Ha 29 anni come mia figlia, è in città per qualche giorno con la madre, ospiti della signora Adele D. che da anni finanzia una fondazione che si occupa di anziani e che da lodevole mecenate promuove la carriera di “giovani talenti”. Ho conosciuto così Stefano Mhanna.

La parola “talento” non è una citazione biblica. Quando Stefano Mhanna aveva nove anni, il grande violinista Uto Ughi, dopo averlo ascoltato suonare al teatro Argentina di Roma, dichiarò al Tg1: “È davvero nato per suonare, è un talento unico”.

Del resto ha vinto sette concorsi per strumentisti, nazionali e internazionali. È entrato al Conservatorio di Santa Cecilia a sette anni, diplomandosi a 12 anni con 10 e lode e una menzione speciale (caso unico nella storia ultrasecolare dell’istituto musicale romano). Dopo aver eseguito il concerto op. 35 di Tchaikovsky interamente a memoria all’età di 10 anni, gli è stata assegnata una borsa di studio dalla SIAE.

Ma questo non è niente. Ho rivisto Stefano Mhanna pochi giorni fa, in occasione di un suo concerto (all’organo e al violino) in una chiesa locale, nel quadro di un progetto molto interessante per rivitalizzare la storia, la vita sociale e spirituale nelle chiese tramite la musica, non solo d’organo. Di seguito un estratto della nostra conversazione.

Come hai potuto incontrare la musica a un’età così precoce?

Mio padre è medico e mia madre una psicologa che però ha studiato pianoforte. In casa perciò c’era un piano, e cominciai a suonarlo. Poi scelsi il violino e comincia a studiare lo strumento col supporto di alcuni docenti.

A sette anni sei entrato in Conservatorio…

Sì, e non fu semplice, perché serviva una deroga per entrare a Santa Cecilia a quell’età. Furono i Maestri Pasquale Pellegrino e il direttore Lionello Cammarota a decidere che potevo e dovevo iscrivermi. Mi sono diplomato nel 2012, un giorno prima del mio dodicesimo compleanno. Avevo già vinto un Premio della SIAE e poi il Premio Nuove Carriere del CIDIM (Comitato Nazionale Italiano Musica) dopo il quale fui scritturato come violino solista per il concerto op. 64 di Mendelssohn presso il Teatro Regio di Torino, e per due concerti cameristici a Tirana. Intanto continuavo a Santa Cecilia come tirocinante per altri due anni.

Sempre nel 2012 ti sei diplomato anche in organo e composizione organistica -sempre a Roma-, e poi da privatista hai ottenuto il diploma in viola e pianoforte a Brescia e Teramo.

C’era già una burocrazia complicata… Si diceva che si dovesse vietare l’accesso agli esami per il diploma ai privatisti, quindi cercai di fare in fretta, perché avevo già iniziato la carriera di concertista. Ho anche studiato Direzione d’orchestra a Santa Cecilia, per un anno.

Non ti bastava essere diplomato in violino, organo, piano e viola, oltre a seguire il normale corso di studi obbligatori e svolgere una brillante carriera da concertista… Ti sei anche iscritto all’Università.

Mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza de La Sapienza di Roma. Ho conseguito la laurea magistrale in Diritto amministrativo nel 2019, dopo di che ho fatto il regolare anno di praticantato presso uno Studio notarile, ma non ho proseguito oltre perché essere notaio non si può conciliare col fare musica.

Parliamo del tuo repertorio. Si tratta certamente di grandi classici, ma tra gli autori moderni chi preferisci? Inoltre, hai un repertorio di circa 50 opere, che esegui tutte senza spartito. Come fai a conoscere a memoria partiture complicate come quelle di Bach o Paganini?

Tra i compositori del ‘900 ho eseguito opere di Sergej Prokof’ev e Maurice Ravel. Per il diploma di organista ho eseguito L’Ascensione di Olivier Messiaen.
…Quanto al suonare a memoria, è una mia linea guida. Devi assimilare lo stile del compositore, le sue frasi musicali… Come in tutto ciò che riguarda armonia e melodia (anche jazz o pop) devi conoscere le mappe su cui si basano forme musicali come la fuga o la sonata. Se conosci la mappa, puoi spostarti nelle foreste della composizione senza perdere la rotta. Lo stesso vale per dirigere un’orchestra.

Parlando di economia familiare, come fai a gestire una vita complicata, con tournée quasi continue da una città all’altra, da una nazione all’altra, e conciliare questo immenso lavoro (perché nel frattempo devi continuare gli studi, conoscere nuovi autori etc.) con una carriera luminosa ma insicura, quasi come ai tempi di Mozart?

Purtroppo un musicista classico è quasi sempre costretto a insegnare alle scuole medie o al Conservatorio. Questo garantisce un reddito fisso ma limita fortemente la carriera. C’è un grande problema di disparità economica nel settore: un artista viene retribuito dieci volte più di un orchestrale. Le associazioni musicali sono povere e in alcuni importanti appuntamenti televisivi e non gli orchestrali sono pagati 50 euro al giorno, mentre gli ospiti o i gruppi pop sono pagati molto di più.

Fino a quindici anni fa si poteva guadagnare con la produzione discografica. Ricordo che un noto cantante di musica leggera ricevette in dono dalla sua casa discografica una splendida villa (dove sono stato). Era dotata di campo da calcio etc.  e si trovava a Roma in una zona pregiata. Visto che sei uno strumentista non comune che ha suonato anche all’estero come solista, sei stato contattato da Deutsche Grammophon?

…No, sono però stato contattato da un produttore privato che aspetta ancora un mio feed-back. Più che altro la sua proposta mi sembrava poco vantaggiosa economicamente. Certo capisco che il mercato discografico oggi abbia poco spazio, vista la diffusione della musica su internet, in forma quasi totale e gratuita.

 Adesso per te è il momento del successo internazionale. Che idee hai per la tua musica?

Non mi occupo di marketing, perché non ne ho le competenze. Capisco che per ottenere popolarità servono strumenti appositi e che i giovani in buona parte hanno una soglia di attenzione molto bassa, anche quando ascoltano musica più “facile” della classica”.

Continuiamo a discutere, e conveniamo che anche il rock è in crisi, a parte i grandi interpreti come i Coldplay (molto bravi, peraltro) che hanno suonato un mese fa a Roma per 65.000 spettatori, coi biglietti esauriti da un anno. Però, a parte le band che propongono contenuti, il pop non ha più la spinta culturale e sociale che hanno mantenuto la classica e il jazz. Il pop sta morendo: il rischio è il trionfo del rumore…Oltre al management, ci diciamo, per avere successo internazionale è necessario capire:
– che la cifra della modernità è il ritmo;
– che serve anche comporre musica propria;
– che si devono studiare autori cross-musicali come il Philip Glass di Passages (con Ravi Shankar);
– che si deve combattere senza quartiere la MdM (musica di merda) e lavorare duramente per la Md’A (musica d’arte).

Picture of Paolo Della Sala

Paolo Della Sala

Paolo Della Sala è uno scrittore e musicista che trova ispirazione nella musica mentre lavora ai suoi articoli e racconti. Ha collaborato con Gianni Celati e ha ricevuto influenze da figure come Paolo Fabbri, Carlo e Natalia Ginzburg e Umberto Eco. Attualmente, scrive per diverse testate, tra cui Il Settimanale, Reputation Review e L’Opinione, concentrandosi su geopolitica e cultura. Ha esperienza anche con Il Secolo XIX, Rai Radio Tre e altre testate. Ha pubblicato "Alice Disambientata" con Gianni Celati e curato l'archivio di Gianni Rodari. Nel cinema e nella TV, ha lavorato come promoter per Portofino Film Commission e come aiuto regista in videomusica e pubblicità, oltre ad essere stato interprete-musicista per La Chambre des Dames.

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