Durante l’ondata migratoria della scorsa estate, la città di New York aveva individuato, nel quartiere di Clinton Hill, a Brooklyn, un complesso di uffici vuoti composto da dieci edifici che, nel giro di pochi mesi, è stato destinato ad ospitare oltre 4.000 migranti, divenendo uno dei più grandi rifugi della città.
Inizialmente le cose sono andate relativamente bene: Brooklyn è uno dei quartieri più ospitali della città, e non ci sono mai stati contrasti con decisioni simili. I problemi, però, sono sorti quest’estate quando, alle flebili lamentele per l’aumento dei rifiuti e le preoccupazioni per la sicurezza, si sono aggiunti una serie di incidenti violenti hanno scosso la comunità. Il 21 luglio, un migrante è stato ucciso a colpi di arma da fuoco in un parco vicino al rifugio, seguito poco dopo dall’uccisione di altri due migranti venezuelani fuori dal complesso.
La polizia ha collegato questi omicidi alle bande venezuelane. Gli incidenti non sembrano collegati tra loro, ma hanno aumentato il senso di insicurezza tra i residenti già allarmati da un precedente accoltellamento avvenuto a giugno.
La tensione crescente ha portato a un acceso dibattito sulla gestione dei rifugi per migranti. Mentre alcune autorità hanno implementato misure di sicurezza aggiuntive, come coprifuochi e metal detector, e intensificato la raccolta dei rifiuti, i residenti hanno richiesto una riduzione delle dimensioni del rifugio. Il procuratore generale dello stato, Letitia James, residente nella zona, si è unita alle proteste, chiedendo al sindaco di ridurre il numero di ospiti nel rifugio a circa 400 persone.
Eric Adams, sindaco di New York, ha respinto l’idea di trasferire il rifugio, sottolineando la necessità di condividere il peso dell’accoglienza dei migranti in tutta la città: “Quando dicono di spostare il rifugio, la mia domanda è: dove?” ha detto. “In quale comunità dovrei spostarlo? Quelle che sono già sature? O dovremmo tutti condividerne il peso? Nessuno vorrebbe.”.