Il cammino di una pianista globale: storia, visione e valori di Cristiana Pegoraro

Dalla precoce folgorazione per il pianoforte ai palchi internazionali: la pianista e compositrice umbra che ha recentemente incantato nel suo concerto a Carnegie Hall racconta il suo percorso, il senso dell’arte come missione, il dialogo con il pubblico, l’impegno per la pace e per la sua terra

In questa lunga conversazione con il Newyorkese, Cristiana Pegoraro ha ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera, iniziata a soli quattro anni partendo da Terni e sviluppata tra Salisburgo, Berlino, New York, passando dall’Australia e continuando a girare, tutt’ora, il mondo intero. Perché la musica non ha confini e questo Cristiana Pegoraro l’ha capito già da piccola. Con grande umiltà, ci ha parlato del ruolo dello studio, della disciplina e dell’importanza del rapporto con il pubblico; del potere trasformativo della musica e della responsabilità di un artista nell’ispirare pace e bellezza. Ci ha raccontato poi il suo legame con l’Umbria e con la figura di San Valentino, e infine ci ha svelato la parte più nascosta del mestiere di artista: la fatica quotidiana, spesso invisibile, che rende possibile la magia del palcoscenico.

Come è nata la sua passione per la musica e in che modo è iniziato il suo percorso?

La mia passione per la musica è nata subito. Ho iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni perché all’asilo ho avuto la fortuna di incontrare un maestro di musica che ci fece muovere le manine su delle tastiere. È stato un amore a prima vista. Poco dopo ho iniziato a prendere lezioni con un insegnante e in breve tempo avevo già capito che quella sarebbe stata la mia vita. Credo fosse una passione che portavo dentro e che sia sbocciata avvicinandomi a una tastiera.

Dal Conservatorio di Terni ai palcoscenici internazionali: come ha costruito il suo percorso artistico?

Sono nata a Terni e, avendo iniziato molto presto, ho studiato nella mia città, dove mi sono diplomata a sedici anni con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore sotto la guida del maestro Elio Maestosi, che mi ha fatto innamorare della musica ancor di più. Ma Terni mi andava un po’ stretta perché sono una persona che ama mettersi in gioco, vedere, conoscere. Così, dopo il diploma, sono andata a studiare al Mozarteum di Salisburgo, una delle migliori scuole al mondo, con il rinomato maestro Hans Leygraf, e lì ho passato cinque anni. Ero l’allieva più giovane della classe e la più inesperta. In classe c’erano pianisti anche di dieci anni più grandi, vincitori di importanti concorsi internazionali. Ho imparato tanto. Nel frattempo mi perfezionavo a Vienna con un grandissimo pianista, Jörg Demus. Poi sono andata all’università alla Hochschule der Künste di Berlino, e da Berlino ho fatto il salto dell’oceano approdando a New York. Vi faccio sorridere: ci sono arrivata via Australia. Vinsi una selezione che portava venti pianisti da tutto il mondo al Sydney International Piano Competition. Lì conobbi un pianista molto bravo: ero alla ricerca di nuove esperienze e di un nuovo insegnante e lui mi consigliò una maestra russa a New York, Nina Svetlanova, una delle ultime eredi della grande scuola russa di Heinrich Neuhaus. Così, via Australia, feci le valigie e arrivai a New York. Una vita ricca di avventure e di scoperte che mi ha portata proprio qui nella Grande Mela.

Una vita in viaggio. Non ha mai avuto la tentazione di fermarsi e di rimanere nella sua comfort zone?

Mai. Quello che raggiungevo e che poteva sembrarmi già un risultato era sempre un punto di partenza verso un altro traguardo. Non mi fermo mai: cerco sempre esperienze che mi permettano di migliorare. Non sono una persona che si accontenta e infatti non riesco a restare nello stesso posto per molto tempo.

Quanto contano talento e allenamento nel raggiungere i massimi livelli?

Un musicista è come uno sportivo: condividiamo ideali, valori e lo stesso tipo di training, solo che noi usiamo un linguaggio diverso, quello della musica. Il talento è il punto di partenza, perché senza non si va da nessuna parte. Ma è solo una parte del cammino, direi quasi una piccola parte. Poi c’è tanto lavoro, tanta conoscenza da acquisire, ore e ore di studio ogni giorno. È come l’allenamento di uno sportivo: alleniamo i muscoli, anche se non in modo plateale, e alleniamo il cervello, l’autocontrollo, la sensibilità, perché le esecuzioni devono essere il più possibile convincenti. Il training è una parte enorme di questo percorso.

Che rapporto ha con l’ossessione della perfezione che spesso accompagna chi eccelle?

Sono una perfezionista di carattere: tutto ciò che faccio deve corrispondere alla mia idea, e io voglio sempre risultati molto alti. Il pianoforte rientra in questa sfera. “Ossessione” forse è una parola grande: la chiamerei passione. Passione per riuscire a fare ciò che desidero e per mantenere il livello raggiunto, che a volte è anche più difficile che arrivarci. A me piacciono le sfide, ma cerco di affrontarle con passione e con umiltà. L’umiltà è essenziale. Mettersi in gioco significa riconoscere i propri limiti e cercare di superarli, con la voglia di fare e di fare bene, condividendo la bellezza e il messaggio che c’è dietro la musica con il maggior numero di persone.

Cosa prova nel momento in cui sta per iniziare un concerto?

Direi eccitazione. Io sto bene sul palco: lì scatta il momento della grande condivisione. Sono felice di poter condividere la mia musica. Il pianoforte diventa un’estensione del mio corpo e della mia personalità. E quando abbiamo strumenti belli, che ci permettono di lavorare sulle sfumature e sui dettagli, è una grande eccitazione: è come mettersi a nudo, far uscire le emozioni. E poi guido io lo strumento e guido anche il pubblico. Nei miei concerti racconto molto: non mi limito a sedermi, suonare e andare via. Instaurare un dialogo con il pubblico per me è fondamentale: parlare, raccontare, suonare, condividere. Quel momento sul palco è la mia massima gioia.

Quanto è importante oggi raccontare la musica e dialogare con il pubblico?

Moltissimo. Oggi si è persa una parte della cultura musicale che prima permetteva di andare a un concerto e comprendere immediatamente l’arte interpretativa dell’artista e i brani in programma. Per una serie di ragioni questa conoscenza è diminuita, e io credo sia importante far di nuovo avvicinare il pubblico ai brani eseguiti. Lo si può fare attraverso il linguaggio: raccontare, spiegare, condividere aneddoti. A volte faccio anche sorridere il pubblico, perché la musica classica non è una cosa triste, seria e obsoleta. È viva, e spesso ricca di aspetti divertenti. Colloquiare con il pubblico significa prenderlo per mano e portarlo dentro al pezzo che vado a eseguire. È importante per far comprendere ciò che poi dirò con le note.

A Carnegie Hall, a novembre, ha dedicato il concerto, che è stato un grande successo, al tema della pace. Che significato ha avuto per lei?

Come artista mi sento in dovere, dal palco, di condividere messaggi importanti. In quel momento ho l’attenzione delle persone e posso cercare di ispirarle. Per questo nei miei concerti spesso sviluppo delle tematiche, e oggi il tema della pace è centrale. Riuscire a farlo attraverso la musica e attraverso l’esempio dei grandi compositori è fondamentale. Il concerto alla Carnegie Hall, presentato dalla Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, è stato per me emozionante e molto importante. Collaboro spesso con le Nazioni Unite su temi di questo tipo. Portare la pace su un palco come quello, davanti a persone delle Nazioni Unite e a un pubblico internazionale — New York è un melting pot — e sentirci tutti fratelli e sorelle attraverso la musica è stato incredibile. Certamente non cambierò il mondo con un concerto, ma posso provare a ispirare il mio pubblico, a riflettere, a diventare persone migliori. Un piccolo cammino che ognuno di noi può fare verso la pace, partendo da quella interiore, attraverso la bellezza della musica. Ricordiamoci che la musica è quel linguaggio universale che oltrepassa qualsiasi barriera e parla direttamente al cuore e alla sensibilità degli esseri umani.

Interessante il tema, che è stato al centro del concerto, del viaggio interiore. In che modo l’ha costruito?

Il programma era sviluppato come un viaggio, il viaggio della vita: la partenza, la scoperta, la sfida, il dialogo, il sorriso, l’amore, la passione, la saggezza. Ho raggruppato i brani sotto queste tematiche, dando anche esempi di grandi compositori. Pensiamo a Beethoven: che sfida immensa è stata la sua vita. Un compositore che inizia a diventare sordo a trent’anni… è un dramma enorme, ma lui lo ha superato in modo geniale. La sua vita è un esempio. Forse nel nostro piccolo possiamo fare lo stesso.

Umiltà, profondità, ricerca: sono qualità che emergono con forza nel suo racconto. Quanto contano nella sua visione dell’arte?

Contano tantissimo. Mi piace comunicare e cerco sempre di migliorarmi. Più vado avanti, più mi sento forte nel mio ruolo non solo di pianista, ma di chi condivide messaggi di bellezza e profondità attraverso la musica. La vita è un dono meraviglioso: sarebbe uno spreco viverla superficialmente. Se posso essere un tramite per rendere qualcuno più sereno, più felice, più ispirato, mi sento appagata.

Dopo tanti anni nel mondo, è tornata a rappresentare la sua terra come testimonial dell’Umbria. Cosa significa per lei?

Le radici non si dimenticano mai. Quando torno in Umbria riconosco odori, sapori, colori: è un tornare a casa. Mi muovo per il mondo, ma non dimentico mai da dove vengo. Far conoscere questa terra bellissima a tante persone mi rende orgogliosa. Portare l’Umbria nel cuore in giro per il mondo mi rende molto felice.

È anche ambasciatrice di San Valentino nel mondo. Che cosa comporta questo ruolo?

Quando dici “San Valentino”, tutti pensano al 14 febbraio, ai cioccolatini, alle rose, alla cena romantica. Ma San Valentino era un santo vero, e le sue spoglie sono nella Basilica di Terni, la mia città. È un santo che ha compiuto miracoli, e ci sono testimonianze storiche che molti non conoscono. Addirittura in Russia hanno trovato icone che lo rappresentano. Il Centro Culturale Valentiniano di Terni mi ha nominato ambasciatrice nel mondo: attraverso la mia arte promuovo la vera figura del santo, riportando il Valentine’s Day alle sue origini. E naturalmente c’è il tema dell’amore, che io considero la cosa più importante della vita. Porto questo messaggio nei miei concerti. Ho anche composto un brano dedicato a San Valentino, Colors of Love, diventato un video girato nella basilica. È un modo per promuovere la mia città, la mia terra e la figura del santo.

Com’è cambiata nel tempo la percezione degli italiani negli Stati Uniti?

All’inizio del secolo scorso gli italiani che arrivavano in America erano emigranti alla ricerca di una vita migliore. Hanno dovuto accettare enormi compromessi e umiliazioni. Ora gli italiani che approdano in America sono estremamente preparati e occupano ruoli importanti. Il livello di ciò che esportiamo è molto alto. Il ‘Made in Italy’ è un brand potentissimo. Resta un fatto: quando dici “sono italiano” tutti ti guardano con enorme ammirazione. L’Italia è percepita come un luogo bellissimo, un paese con grande storia, cultura, tradizioni, cibo meraviglioso, clima ottimo. Siamo privilegiati: nel mondo essere italiani è sempre un vantaggio.

C’è qualcosa che non le ho chiesto e che avrebbe voluto venisse fuori?

Forse la vita dell’artista: cosa comporta davvero. Molti ci vedono esclusivamente nella fase finale, ovvero su un palcoscenico, felici di fare ciò che amiamo, e questo è vero. Ma c’è una vita dietro le quinte fatta di enormi sacrifici e poi le difficoltà di muoversi nel mondo: viaggi infiniti, voli in ritardo, valigie smarrite, fusi orari che ti ribaltano l’organismo… tanti aspetti rendono questa vita molto complessa. Un artista ama ciò che fa, ma è un professionista: ogni giorno devi conquistarti qualcosa, abbiamo un percorso di studio durissimo e quando saliamo sul palco c’è una mole enorme di lavoro dietro. Vorrei che questo fosse apprezzato quanto la performance. Purtroppo devo dire che in Italia gli artisti non sempre sono considerati come dovrebbero. In altre parti del mondo c’è più considerazione, in Italia sembriamo a volte una categoria dimenticata, sottovalutata. Eppure l’arte è fondamentale nella vita e nell’educazione di ogni persona, dal bambino all’adulto. Gli artisti andrebbero sostenuti e valorizzati, perché attraverso l’arte cerchiamo di rendere la vita più bella.

Immagine di Guglielmo Timpano

Guglielmo Timpano

Laureato in Scienze Politiche. Giornalista freelance. Conduttore radiofonico. Presentatore televisivo. Appassionato di sport, storia e animali: per combinare tutti questi interessi, il sogno sarebbe seguire un torneo di calcio tra dinosauri.

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