Napoli Women, il nuovo benchmark per il calcio femminile

Il Napoli Women negli ultimi anni si sta impegnando per riscrivere le regole del calcio femminile e della comunicazione sportiva a livello nazionale. Abbiamo deciso di parlarne con la centrocampista delle azzurre Natalie Muth e con il match analyst della squadra Jacopo Aglietti

Ogni giorno il calcio femminile lotta per ottenere il riconoscimento che gli spetta e per ridurre la smaccante spaccatura che lo separa dalla controparte maschile. In un Paese in cui ogni settimana sul rettangolo verde si incrociano le passioni di milioni di italiane e italiani, il risultato minimo da auspicarsi è vedere un cambiamento apprezzabile nella sua rappresentazione mediatica e nella percezione del pubblico. E, in questo senso, c’è chi lavora ogni giorno per raggiungere questo obiettivo.

Come possiamo evitare che una ricorrenza come il 25 novembre rimanga puramente simbolica e fare in modo che produca effetti reali nella vita quotidiana?

Natalie: È sempre importante creare consapevolezza e aprire un dibattito su questi temi, ma allo stesso tempo è fondamentale che le donne sentano supporto durante tutto l’anno, in ogni momento, e che resti sempre aperta la porta del dialogo. In particolare perché credo che le calciatrici possano mostrare esempi concreti di donne in ruoli di leadership.

Jacopo: È una consapevolezza che piano piano sta diventando sempre più quotidiana. Fino a qualche anno fa il calcio femminile era molto stereotipato e poco seguito, quasi preso in giro. Oggi però sta acquisendo sempre più valore e rispetto. Penso che questo percorso vada di pari passo con ciò che il 25 novembre rappresenta simbolicamente: qualcosa che negli anni sta contribuendo a ridurre questo divario sociale.

Nel vostro ambito, come si può creare un ambiente sicuro? Esistono politiche interne che seguite e applicate?

Natalie: Il Napoli ha fatto un passo importante quest’anno inserendo una mental coach donna. Credo sia fondamentale non solo per ridurre il divario tra staff maschile e giocatrici, ma anche per aprire una conversazione sulla salute mentale, un aspetto che forse in passato non era così presente. Avere questa figura all’interno dell’ambiente e dello staff è stato enorme quest’anno, soprattutto qui in Italia, dove il calcio è fortemente dominato dagli uomini. È importante innanzitutto riconoscere l’apertura verso questo tipo di dialogo, affinché la comunicazione non sia più solo uomini contro donne, ma qualcosa di più articolato. Un passo alla volta.

Jacopo: Come ha detto Natalie, abbiamo una mental coach che lavora anche su questi aspetti e, essendo un’ex calciatrice della squadra, è percepita come una figura molto vicina al gruppo e che conosce bene l’ambiente. Al di là di questo, tutti cerchiamo di dialogare molto con le ragazze quando percepiamo che qualcosa non va o quando notiamo cali di concentrazione in allenamento. Cerchiamo sempre di capire se c’è qualcosa che non quadra. Usiamo molto la comunicazione e approfondiamo le situazioni che ci sembrano borderline: non è qualcosa di rigidamente codificato, ma affidato alla sensibilità nostra e loro.

Il calcio è spesso percepito come uno sport legato al mondo maschile, e questa idea accentua la distanza con il calcio femminile, che lotta ancora per il proprio riconoscimento. Come si può ridurre questa distanza in termini di percezione, salari e rispetto competitivo?

Natalie: Negli Stati Uniti c’è stato un movimento enorme guidato dalla Nazionale femminile per la parità salariale, e penso che questo abbia contribuito ad avviare un cambiamento anche in Europa. È fondamentale avere rappresentazione dello sport femminile in televisione, investire nel marketing e ovviamente lavorare sull’equiparazione salariale. Tutti questi aspetti sono fondamentali per far crescere il calcio femminile e sostenere lo sport praticato dalle donne in generale.

Jacopo: Sicuramente è un percorso che richiederà anni, ma è possibile arrivare a ridurre queste differenze. Secondo me uno dei primi concetti da eliminare è il paragone: parliamo di sport con strutture fisiche e livelli atletici diversi. Uno degli errori principali è non insegnare che calcio maschile e calcio femminile hanno caratteristiche proprie e che i confronti sono inutili, come già avviene nell’atletica leggera. Il secondo passo è continuare a dare visibilità a questo sport attraverso media e piattaforme. C’è ancora molto lavoro da fare, ma come società stiamo cercando di avvicinare le persone, portare le famiglie allo stadio e rendere il calcio femminile appetibile — cosa che diventa più facile quando la squadra vince.

Pensi che lo sport competitivo possa spostare l’attenzione sul corpo femminile, da oggetto facilmente sessualizzato a strumento per inseguire i propri sogni, come accade per gli atleti uomini?

Natalie: Purtroppo c’è ancora molta narrazione mediatica che sessualizza lo sport femminile, ma è importante non dare troppo peso a questo aspetto. Dovremmo considerare lo sport femminile importante tanto quanto quello maschile, non perché il corpo delle donne possa essere sessualizzato, ma perché le donne possono fare in campo esattamente ciò che fanno gli uomini, e questo merita rispetto di per sé.

Jacopo: Onestamente, entrando in questo mondo mi aspettavo un ambiente molto più tossico da questo punto di vista. Temevo una forte enfasi sull’aspetto estetico, ma sono rimasto piacevolmente sorpreso. I commenti che leggo riguardano per lo più il calcio giocato e, anche se dovrebbe essere la normalità, non è affatto scontato.

In che modo gli stereotipi influenzano analisi, comunicazione e dinamiche di performance?

Natalie: Venendo dagli Stati Uniti, dove il calcio femminile è molto popolare e ampiamente seguito dai media, noto un forte contrasto con l’Italia, dove ha ancora poca rappresentazione. Qui lo sport femminile è spesso visto come secondario rispetto a quello maschile, soprattutto nel calcio, che è quasi una religione nazionale. Negli Stati Uniti lo sport femminile è grande quanto quello maschile, se non di più. In Italia c’è ancora molto lavoro da fare: servono investimenti e crescita. Da parte nostra possiamo solo rendere il nostro sport interessante, spingere le persone a venire allo stadio e a sostenerci.

Jacopo: Anch’io mi sono avvicinato al calcio femminile con qualche dubbio. Quando sono arrivato a Napoli avevo in testa l’idea del calcio femminile di qualche anno fa, ma dopo aver visto le partite, vissuto il campo e il campionato, tutti i miei preconcetti sono crollati. Ho scoperto uno sport godibile, dignitoso, di grande rispetto, con un buon livello di gioco. La voglia di abbattere gli stereotipi è fortissima e la percepisco in ogni allenamento.

Lo sport competitivo può essere un percorso di rafforzamento dell’empowerment femminile (dal punto di vista psicologico: autostima, consapevolezza, fiducia, leadership)?

Natalie: Vedere donne competere ad alti livelli è fondamentale. La rappresentazione nello sport è enorme e dà grande fiducia. Si cresce come individui, come giocatrici, nella leadership e nel lavoro di gruppo. Giocare all’estero insegna ad adattarsi e a confrontarsi con nuove culture. Sì, lo sport femminile è fondamentale per la crescita personale e la fiducia, ed è importante che realtà come la vostra aprano spazi di comunicazione e rappresentazione.

Jacopo: Sono competenze che si possono sviluppare in qualsiasi ambito lavorativo, ma l’agonismo ti costringe a farlo più in fretta, anche perché la carriera sportiva è breve. Lo vedo nelle nostre ragazze, vittoria dopo vittoria: crescono nella consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie capacità. Ogni successo aggiunge un tassello che conferma loro di essere forti, di essere giocatrici di alto livello, una percezione di sé che a inizio stagione non avevano.

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