A margine della presentazione alla Camera dei Deputati del “Business Care International Award 2026”, abbiamo incontrato Fabrizio Raimondi, responsabile delle relazioni esterne del Consorzio Parmigiano Reggiano. Con lui abbiamo approfondito il rapporto privilegiato fra il Consorzio e il mercato statunitense, l’impatto dei dazi, le regole che tutelano la DOP del Parmigiano Reggiano e il tema sempre più caldo, che noi de ilNewyorkese stiamo seguendo da vicino, dell’italian sounding negli USA.
Quanto è importante il mercato statunitense per il Consorzio Parmigiano Reggiano?
«Il mercato statunitense è il nostro primo mercato, quindi gli americani ci amano e noi amiamo gli americani. Oggi la quota di export verso gli Stati Uniti è superiore al 20 per cento e, nonostante le incertezze dell’ultimo periodo, i dati confermano performance altamente positive. È un mercato fatto di foodies, di appassionati, di persone che cercano la qualità: per noi rappresenta un’opportunità incredibile, una via di sbocco fondamentale per il futuro».
Si è parlato tanto di dazi. Che impatto hanno avuto nel vostro business?
«Senza dubbio i dazi sono un limite al libero commercio, quindi noi auspichiamo sempre che non ce ne siano. Oggi siamo tornati al 15 per cento, il dazio che abbiamo dagli anni Sessanta, quindi non c’è stato un impatto negativo per noi. È chiaro che, in un mondo ideale, il commercio dovrebbe essere completamente libero: i dazi restano un ostacolo, ma riusciamo comunque a gestirli bene».
Nel corso della conferenza ha spiegato che per essere inseriti nel Consorzio del Parmigiano Reggiano ci vogliono requisiti territoriali molto precisi.
«Il Parmigiano Reggiano è una DOP: ciò significa che deve rispettare un disciplinare rigorosissimo depositato presso l’Unione Europea. La prima regola è che si può produrre Parmigiano Reggiano solo nella sua zona di origine: Parma, Reggio Emilia, Modena, parte di Bologna e parte di Mantova. Solo qui si trovano le condizioni climatiche, il know-how e anche i foraggi che sono determinanti per la produzione del latte speciale che è utilizzato per il Parmigiano Reggiano. Ricordiamo sempre che gli ingredienti del Parmigiano Reggiano sono solto tre — latte, sale e caglio — una ricetta molto semplice, ma bisogna farla con gli ingredienti giusti che ci sono solo nel territorio d’origine».
Come Newyorkese abbiamo dedicato e dedicheremo ampio spazio al tema dell’italian sounding. Per voi è un problema serio negli Stati Uniti?
«È un problema molto serio. Stimiamo un danno economico di oltre due miliardi di euro, ma c’è anche un danno d’immagine: il consumatore viene truffato. Chi compra un Parmigiano Reggiano “fake” e lo assaggia non trova le emozioni e le caratteristiche organolettiche del vero prodotto, che lo portano a ricomprarlo. Non è solo un danno economico ma anche un danno d’immagine: noi vogliamo consumatori fedeli, che amino il nostro prodotto.
In Europa esiste una legge che ci tutela contro l’italian sounding, e il termine “parmesan” può essere usato solo come traduzione di Parmigiano Reggiano. Negli Stati Uniti, invece, i due prodotti possono coesistere sugli scaffali. Per questo per noi è importantissimo spiegare agli americani la differenza. Abbiamo creato una corporation proprio negli Stati Uniti, a New York, per fare formazione e informazione al trade, ai consumatori e alla distribuzione, spiegando perché il Parmigiano Reggiano può essere prodotto solo nella sua zona d’origine e perché ha caratteristiche uniche ed è un prodotto completamente diverso dal parmesan».




