In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo incontrato Leonardo Bocci, volto amatissimo della comicità romana, seguitissimo sui social. Con lui abbiamo parlato di stereotipi, responsabilità del comico e del ruolo – spesso sottovalutato – che l’ironia può avere nel raccontare la società e le sue contraddizioni.
La comicità gioca spesso con i tabù. Oggi il confine tra ridere “di” e ridere “con” sembra sempre più sottile. Un comico deve interrogarsi su cosa comunica quando scherza sulle donne o sui ruoli di genere?
Sì, credo sia inevitabile. C’è stato un enorme cambiamento tra il pre e il post pandemia, soprattutto nel modo di fare battute sulle donne. Prima vedevamo una comicità più bullizzante, oggi si cerca una forma più intelligente. Io mi ispiro molto a Ricky Gervais: quando è sul palco interpreta un personaggio, e così faccio anch’io. Le battute “strong” devono far pensare, non ferire. Oggi un comico si pone molte più domande prima di dire una frase, ed è un bene.
Nella stand-up, la donna è spesso raccontata attraverso cliché: la fidanzata gelosa, la mamma ansiosa, la ragazza da copertina. Questi stereotipi sono ancora forti nella comicità italiana? Come si smontano senza perdere ironia?
Gli stereotipi ci sono e ci saranno sempre, riguardano tutti – donne e uomini. Se li racconti in maniera intelligente funzionano, se scivoli nel qualunquismo no. E il pubblico questo lo capisce: si è stufato di battute facili, prive di un pensiero.
Quando scrivi o improvvisi, come decidi il ruolo della donna in uno sketch?
Io ci penso sempre. Prima di scrivere una battuta o girare un video cerco di capire come affrontare un tema con la giusta sensibilità. Da ragazzo ci riflettevo meno, è vero. Ma stiamo andando nella direzione giusta. La Gen Z ha un ruolo enorme in questo: pretende coerenza, rispetto dei valori in cui crede. E, nonostante tutte le difficoltà, mi sembra che la società stia diventando poco a poco più inclusiva.
Quali sono, secondo te, gli stereotipi più pericolosi legati al mondo femminile che sopravvivono ancora nel linguaggio comico?
Quelli che poi, purtroppo, ritroviamo sui giornali. A volte si scherza con troppa leggerezza su argomenti molto gravi. La differenza la fanno la sensibilità e l’intelligenza con cui si fa ironia. Il comico deve far ridere, certo, ma anche lanciare un messaggio – per quanto surreale possa essere il contesto.
La scena comica italiana resta in gran parte maschile. Perché, secondo te, le comiche donne fanno ancora fatica ad avere lo stesso spazio e riconoscimento?
Io, invece, vedo un grande cambiamento. Negli ultimi anni le donne sono diventate sempre più centrali nella comicità. Anche in Italia ci sono tante protagoniste vere. Si è fatto un enorme passo avanti.
Il 25 novembre invita a riflettere su sessismo e violenza di genere. La comicità può contribuire, usando l’ironia per far arrivare un messaggio anche a chi ride senza accorgersi dei pregiudizi?
La comicità deve far riflettere, o almeno aiutare a farlo. Una persona intelligente lo coglie. Il problema è che il web è pieno di “mondezza”, come dico io: sui social ci si sente autorizzati a dire qualsiasi cosa. E così anche i bulli pensano che basti un’offesa o una volgarità per far ridere. Ma non è così. Per far ridere devi essere capace, e devi studiare. L’ironia va maneggiata con cura: può diventare uno strumento potente, ma solo se usata con responsabilità.