Italia in Finale di Coppa Davis senza Sinner ma con un grande Cobolli

A Bologna serata epica: Berrettini apre la strada, Cobolli la illumina con un tie-break da leggenda (17-15) e una maglia strappata alla Djokovic. Azzurri in finale per il terzo anno di fila

Bologna ha tremato. Non per un boato, non per un gol, ma per un punto: l’ultimo di un tie-break che non finiva mai, un filo teso tra speranza e paura che Flavio Cobolli ha strappato di mano a Zizou Bergs al diciassettesimo tentativo utile. Diciassette a quindici: numeri da cabala, da folklore sportivo, da quelle serate che tra vent’anni si racconteranno come si racconta un’epopea. Perché questo è stato: l’Italia del tennis è ancora in finale di Coppa Davis, per la terza volta consecutiva, e ci arriva senza passare dal doppio, senza i suoi uomini più attesi, senza il margine di sicurezza. Solo cuore, nervi e una maglia strappata come omaggio al proprio eroe.

Al Padiglione 37 di BolognaFiere non si riusciva a respirare già dal pomeriggio, quando Matteo Berrettini aveva aperto la porta della finale col suo tono classico: solido, elegante, un po’ tormentato ma efficace. Ha piegato Collignon in due set, 6-3 6-4, in un’ora e mezza che è sembrata più lunga nel secondo parziale, quando il belga ha minacciato di rovesciare la trama. “Me la sono un po’ complicata”, ha ammesso Berrettini, con quel sorriso che maschera sempre la tensione dei momenti pesanti. Ha lottato, ha sofferto, e ha vinto: il primo mattone l’ha messo lui.

Poi è arrivato il romanzo. E l’autore, questa volta, aveva il volto ancora giovane e gli occhi di uno cresciuto con il tennis nel cuore e il calcio negli auricolari: Flavio Cobolli. Sapeva che sarebbe stata una maratona. Sapeva che Bergs, numero 43 al mondo, non avrebbe regalato nulla. Non poteva sapere, però, che la sua partita sarebbe entrata direttamente nell’atlante emotivo della Coppa Davis.

Il primo set l’ha portato via 6-3, stringendo i denti su ogni palla break. Il secondo è diventato una ferita, chiuso 7-5 al tie-break da un Bergs che sembrava finalmente entrato nel ritmo giusto. Il terzo, invece, è stato qualcos’altro: non più tennis, ma un duello di volontà. Match point alternati, leggende minori, pubblico sospeso tra mani sul volto e urla strozzate. Alla fine, sul 16-15, Cobolli ha servito come non aveva mai servito prima. Ace. E subito dopo, come se i muscoli fossero più rapidi della mente, si è strappato la maglia. L’ha fatto come Djokovic, l’idolo che a Wimbledon gli aveva profetizzato un futuro da top 10. L’ha fatto come un ragazzo che sa di aver appena attraversato la linea che separa il talento dalla maturità.

Tra il pubblico c’era anche Edoardo Bove, l’amico di sempre, lì a sostenerlo come sempre, come si fa nei giorni che contano. A lui, Cobolli ha dedicato la vittoria. “Spero torni presto a giocare”, ha detto, con la voce che ancora tremava. Una dedica che sa di infanzia, di percorsi intrecciati, di quel filo invisibile che unisce sport diversi ma passioni identiche.

Filippo Volandri, a fine serata, sembrava ancora incredulo: “Mai visto niente del genere”, ha ammesso. E la frase è uscita come un sospiro, come un riconoscimento profondo a un gruppo che si è ritrovato senza Sinner e senza Musetti, senza certezze e senza reti di protezione. Cinque ragazzi, un legame, un’idea semplice: si vince insieme, si soffre insieme, si sogna insieme.

La finale è domenica. Dall’altra parte ci sarà la Germania di Zverev o la Spagna, orfana di Alcaraz così come l’Italia lo è di Sinner. Sarà una finale vera, a prescindere dai nomi. L’Italia ci arriva con la schiena dritta, la voce roca e la maglia strappata di Flavio Cobolli come vessillo improvvisato.

È questa l’immagine che resterà: un ragazzo romano, occhi lucidi, corpo teso, stoffa lacerata tra le mani, mentre diecimila persone lo guardano come si guarda un eroe che ancora non sa di esserlo. Una fotografia che contiene tutto: fatica, paura, orgoglio, futuro.

Il sogno dell’Insalatiera, adesso, non è più un’ossessione. È un appuntamento. E l’Italia ci arriva da campione in carica, ricca di consapevolezze, col cuore in gola e a testa alta.

Se l’Italia del calcio attraversa un momento  difficilissimo  della  propria storia, quella  del tennis sta vivendo il momento più alto, in termini di competitività, agonismo e relativa popolarità. I nuovi eroi nazionali dello  sport sono i tennisti, ed oggi è il giorno di Berrettini e, soprattutto, di Cobolli. In attesa che escano  dal guscio i campioni di domani cii  godiamo i campioni di oggi, sognando una tripletta storica in Coppa Davis che sembra davvero a portata di racchetta.

Immagine di Guglielmo Timpano

Guglielmo Timpano

Laureato in Scienze Politiche. Giornalista freelance. Conduttore radiofonico. Presentatore televisivo. Appassionato di sport, storia e animali: per combinare tutti questi interessi, il sogno sarebbe seguire un torneo di calcio tra dinosauri.

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